eSports: non chiamateli videogiochi

Ruben Cazzola 
Social Media Manager, Edizioni Scripta Manent 

DA QUESTO NUMERO SALUTEPERTUTTI.IT OSPITA LA RUB-RICA, CHE DARÀ SPAZIO, A VOLTE ANCHE IN MODO NON CONVENZIONALE, AD ARGOMENTI DI COSTUME, SPORT, SOCIETÀ, CINEMA E MOLTO ALTRO.

Inauguro la rubrica parlando di qualcosa che forse non tutti conoscono: gli eSports 

Con eSports si intende il giocare videogiochi a livello competitivo organizzato e professionistico. Chi pratica questi sport virtuali è riconosciuto come un vero e proprio professionista, che partecipa a competizioni in cui è possibile vincere premi sotto forma di somme di denaro (tanto denaro). Non si tratta quindi solo di un passatempo, ma di un vero e proprio lavoro: le squadre e i giocatori di eSport si allenano infatti costantemente, proprio come fanno gli sportivi.

Tutto è iniziato con Spacewar, un videogioco prodotto nel 1962 dal Massachussets Institute of Tecnhology in cui lo scopo dei due giocatori era guidare delle navicelle spaziali attratte da un buco nero luminoso posto al centro della mappa con l’obiettivo di distruggere l’avversario. Nel 1972 l’Università di Stanford ha organizzato un torneo di Spacewar tra i suoi studenti. 24 partecipanti che si sono sfidati per provare a vincere il premio messo in palio: un abbonamento annuale a Rolling Stone

Se all’inizio questa pratica era vista più come un passatempo tra smanettoni e “nerd”, con il tempo gli esports si sono evoluti di pari passo con la tecnologia e hanno iniziato a coinvolgere sempre più persone, affermandosi come fenomeno internazionale tramite l’organizzazione di campionati e tornei e aumentando vertiginosamente il numero dei fan. 

Oggi ci si riferisce agli eSports come un’industria strutturata che genera milioni di euro (è stato calcolato che il giro d’affari che li riguarda, in futuro toccherà il miliardo di dollari, mentre attualmente si aggira sui 60 milioni).


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