Cinema ed Ipocondria
Mickey Sachs ha il passo svelto, deciso. Parla tra sé e sé e si dirige preoccupato, come è solito fare, dal suo medico di fiducia.
“Beh, che problema ha questa volta?” chiede il dottore. “Questa volta credo davvero di avere qualcosa… cioè sono assolutamente convinto” prosegue Mickey. “Credo di accusare una perdita di udito qui all’orecchio destro, no al sinistro… no al destro cioè, ora non riesco a ricordare”. Il dottore sorride, poi procede subito con una serie di test. Dopo poco rivela al suo paziente che in effetti una leggera perdita dell’udito c’è ma per poter capire meglio di cosa possa trattarsi gli consiglia di effettuare ulteriori controlli in ospedale.
“In… ospedale?” balbetta Sachs.
“Via, non si allarmi!” Ribatte il medico. “Sono solo test audiometrici più sofisticati che non posso fare qui, non è niente”
“Beh se non è niente che ci vado a fare in ospedale!? Sono un po’ debole in campo alto decibel vabbè, non andrò all’opera…”
“Senta, non c’è motivo di panico, voglio solo eliminare dei dubbi”
“Cioè!?”
“Non è niente. Si fida di me?”
Seppure con la sua tipica impronta comica, in questa scena del film “Hannah e le sue sorelle”, Woody Allen descrive molto bene la dinamica tipica del rapporto tra medico e paziente ipocondriaco e di come questa venga poi rappresentata all’interno del mezzo cinematografico.
Se da un lato infatti si capisce come il medico deve avere a che fare di più con la paura della malattia che non con un malanno in sé, dall’altro in questa scena vediamo uno dei modi tipici della rappresentazione cinematografica di questo disagio, ovvero la messa al centro del comportamento del personaggio-paziente. Il cinema può essere un modo per capire come superare questo tipo di disagio, ma per provare a capire come, è necessario capire come esso interpreta e descrive il problema.
Ma andiamo con ordine. Secondo il dizionario medico, l’ipocondria si può definire genericamente come uno “Stato psichico caratterizzato da una eccessiva preoccupazione per la propria salute.” e questa preoccupazione può essere di due forme: ansiosa e ossessiva.
Quella ansiosa si verifica quando il paziente ha sostanzialmente preoccupazioni o dubbi riguardo la sua condizione di salute, mentre quella ossessiva, più grave, si riscontra quando il soggetto ha la convinzione di essere affetto da qualche malattia “anche se gli accertamenti sono negativi”.
Innanzitutto queste due tipologie possono essere prese come modello per separare in due macro categorie i personaggi che nei film sono affetti da ipocondria.
Al primo gruppo ad esempio possono appartenere quasi tutti i personaggi scritti dal già citato Woody Allen, o Romain Faubert di “Supercondriaco” del comico francese Dany/Boon ma anche alcuni protagonisti di film di Carlo Verdone come Bernardo Arbusti e Camilla Landolfi del film “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” o Mimmo di “Bianco, rosso e Verdone”
Al secondo gruppo invece riesce più facile assegnare personalità più cupe, come Howard Hughes, interpretato da Leonardo di Caprio, ossessionato da germi e pulizia in “The Aviator” ma anche, in senso più generale, la società distopica dipinta in “Gattaca” di Andrew Niccol la quale, spinta da una sorta di terrore collettivo verso la malattia, ha costruito un sistema con il quale è possibile programmare geneticamente i bambini in modo tale da renderli immuni a qualsiasi tipo di malanno.
Come risulta evidente da questa breve carrellata, le due tipologie di ipocondria mostrano una polarizzazione di genere, comico nel primo caso e drammatico nel secondo. E questo sostanzialmente per una necessità di rappresentazione cinematografica che il carattere di quel tipo di personaggio porta con sé. Per raccontare una forma di ipocondria più leggera infatti è necessario che ci sia un contesto di riferimento “normale” che faccia da contrappeso alle paure del protagonista, che non avalli cioè quel tipo di comportamento ma che anzi ne evidenzi le esagerazioni mettendole in molti casi in ridicolo. Grazie ad esso infatti il pubblico è in grado di descrivere quel problema come “immaginario” ed è proprio dallo scontro tra il personaggio e il resto dei personaggi che scaturisce l’effetto comico. Un esempio possono essere i vari ospedali che frequenta il folle Carlo Rabagliati di Massimo Boldi nella commedia “Ma tu di che segno 6?”, disperatamente intento a dimostrare il verificarsi imminente della sua prossima malattia, o la tabaccaia de “Il magico mondo di Amèlie” la quale è costretta a mettere in discussione la propria malattia con il confronto con una sua vecchia fiamma.
Nel caso dell’ipocondria ossessiva invece, essendo necessario comunicare una forma patologica più grave, si tende a presentare il punto di vista del personaggio come unico possibile, eliminando quindi ogni possibilità di confronto sano. Il pubblico quindi guarda il mondo narrativo attraverso i suoi occhi malati e questo fa sì, quindi, che le sue paure risultino esagerate e molto spesso rappresentate visivamente, come la terrificante scena iniziale di “A scanner darkly” in cui Charles Freck ossessionato dalla presenza di strani insetti immaginari sul suo corpo, cerca insistentemente di raccoglierne alcuni esemplari all’interno di barattoli di vetro per farli analizzare, per poi accorgersi di aver accumulato soltanto una serie di barattoli vuoti.
Nonostante possano sembrare strade diametralmente opposte però, ciò che accomuna queste due tipologie di rappresentazione sono personaggi interpretati da attori in overacting, tecnica di recitazione che tende ad enfatizzare il tono e i movimenti del personaggio. Questo perché di base quindi, in un modo o nell’altro, il cinema ha sempre interpretato la paura della malattia in maniera estrema, ponendola spesso al centro del sistema narrativo e utilizzandola come strumento conoscitivo della psicologia del personaggio.
Questo tipo di storie, però, non sembrano proporre una soluzione univoca al problema. Per tornare sui titoli già citati, sono infatti diversi i finali proposti come soluzione al miglioramento della salute del paziente. In “Maledetto il giorno che t’ho incontrato”Bernardo e Camilla guariscono innamorandosi e allontanandosi dalle cure psicologiche, mentre in The Aviator al contrario, Huges stremato dalle sue paranoie è costretto, in fin di vita, ad affidarsi totalmente alle cure del medico.
Volendo però trovare tra questi un finale più concreto che possa essere preso ad esempio nella vita reale, torna utile tornare da dove siamo partiti.
“Si fida di me?” chiede il medico a Mickey Sachs. La scena si interrompe su quella domanda.
Ma Mickey, dopo checkup medico completo, si scoprirà sano come un pesce.
Letture consigliate:
https://www.corriere.it/salute/dizionario/ipocondria/index.shtml
http://www.sanihelp.it/enciclopedia/scheda/3961.html