Informazione e Salute: dalla Medicina Narrativa alla “Infodemia”
Limiti, strategie e problemi della comunicazione sanitaria ai tempi del COVID
Sergio Macciò
Dirigente medico, Struttura Complessa Cardiologia – Ospedale S. Andrea, Vercelli Consiglio Direttivo UPO Alumni
<< C’è il boom della comunicazione: tutti a comunicare che stanno comunicando >> (Altan)
È esperienza di molti che a volte la stessa terapia, impostata da medici diversi, possa portare a conseguenze e risultati differenti.
Pazienti sottoposti a interventi chirurgici perfettamente eseguiti con stesse modalità operative, o pazienti con analoghe patologie oncologiche vanno incontro a destini differenti.
Certamente è facile spiegare tali discrepanze con le peculiarità di ogni singolo caso clinico, ciò non di meno è anche esperienza comune che l’aspetto comunicativo, fiduciario e umano sia una parte imprescindibile della cura o meglio del “prendersi cura”.
Troppo spesso, infatti, la medicina moderna, tecnologica, quella dei protocolli e delle linee guida, è incentrata sulla malattia.
Il medico cura la malattia. Ma il medico deve anche prendersi cura della persona che non è solo la sua malattia.
Un paziente è un essere umano con una sua specifica complessità. Una complessità fatta di vissuto, ricordi, esperienze, cultura e informazioni, giuste o sbagliate che siano, ricevute da innumerevoli fonti.
Da anni questi argomenti sono divenuti il fulcro della cosiddetta “Medicina Narrativa”, una branca della medicina che studia gli aspetti comunicativi e di relazione medico-paziente, che vedono il linguaggio come elemento essenziale di tale rapporto.
La comunicazione corretta riveste un ruolo determinante soprattutto in presenza di diagnosi di malattie gravi, quando una comunicazione errata, una modalità̀ relazionale non calibrata alla persona che è di fronte a noi, possono andare ad inficiare un percorso terapeutico, un accompagnamento di cura, arrivando al limite ad un vero e proprio fallimento della gestione del percorso assistenziale.
È necessario comprendere (il legislatore in primis e chi ha responsabilità nell’organizzazione e gestione della “macchina” sanitaria) che il tempo della comunicazione è da considerare come tempo di cura.
Questo concetto è tutt’altro che scontato. Negli ultimi anni, al fine di risolvere l’annoso problema delle liste d’attesa a parità di personale (ad isorisorse come si usa dire di questi tempi), si è spinto sulla creazione di “tempari”. Si decide cioè a tavolino quanto debba durare una visita specialistica. Come se ogni paziente fosse uguale ad un altro e soprattutto non considerando in alcun modo il tempo comunicativo.
È evidente dunque che la grande sfida della medicina e della sanità ai nostri tempi sia quella della comunicazione e la crisi mondiale legata alla pandemia del COVID-19 ha reso evidente tale problematica e mostrato in modo chiaro gli attuali limiti.
Il problema delle fonti. L’Infodemia
Per comunicare ed avviare un dialogo è necessario dunque possedere delle informazioni.
L’eccesso di informazioni porta a reale conoscenza?
L’OMS ha affrontato il problema delle “infodemie” creando gruppi di lavoro per studiare il fenomeno.
Il problema ha un indubbio impatto sociale molto rilevante.
La confusione che si è creata in questi mesi, i dibattiti televisivi tra “big” veri e presunti della medicina nazionale e internazionale hanno finito con alimentare sfiducia nella scienza e negli esperti creando varchi, sempre più ampi soprattutto sui canali social, lasciando spazio e visibilità a messaggi distorti, complottistici e negazionistici.
A livello internazionale il fenomeno è oggetto di studio. I gruppi che generano e diffondono informazioni sono frequentemente organismi politici o pseudoscientifici altamente organizzati con alle spalle esperienza nell’uso di tecniche specifiche mirate alla propaganda. Questi organismi possono indirizzare consapevolmente le popolazioni vulnerabili. Le teorie della cospirazione e la disinformazione proliferano in tempi di incertezza e paura
Perché siamo apparentemente affascinati da messaggi di tipo complottistico o pseudo-scientifico?
In un sempre più diffuso scetticismo verso fonti di informazioni “ufficiali” tacciate spesso di connivenza con poteri forti (veri o presunti che siano), finiamo per cercare rifugio nei post condivisi migliaia di volte sui social.
Ci rifugiamo nella sensazione di far parte di una gloriosa resistenza che, in barba all’informazione deviata, contribuisce invece a inoltrare messaggi fondamentali e tenuti nascosti.
Dall’inizio della crisi migliaia di post sono stati condivisi ogni giorno spaziando dalle terapie miracolose, alle previsioni “magiche”, ai complotti internazionali. Cerchiamo in queste notizie il bianco e nero. Cerchiamo risposte semplici a problemi complessi. Cerchiamo luce nel buio senza chiederci se quella luce ci stia mostrando la realtà.
L’interpretazione dei dati
Come detto, la scelta delle fonti è essenziale per costruirsi un corretto “portafoglio” di informazioni.
Ciò nondimeno a volte anche le fonti “ufficiali” possono presentare criticità a livello comunicativo.
Nei primi mesi dell’anno molti quotidiani (sia nell’edizione online che in quella cartacea) presentavano (alcuni tuttora) grafici colorati, a colonne, oppure curve, colori sgargianti. Arcobaleni di carta.
Erano e sono i numeri del COVID. E di numeri ne abbiamo dati tanti, troppi, spesso sbagliati.
E mentre la popolazione (ed è comprensibile) si è sempre più concentrata sui quei numeri, per gli “esperti” sul campo era sempre più chiaro, giorno dopo giorno, quanto quei numeri non fossero una rappresentazione perfetta del problema.
Si è detto e scritto tantissimo riguardo la mortalità da COVID, il rapporto cioè tra chi si contagia e chi muore per COVID.
Per mesi i mass-media hanno fornito dati calcolati con un numeratore dubbio ed un denominatore ampiamente sottovalutato.
Perché per conoscere il vero denominatore dovremmo conoscere tutti i contagiati, anche chi ha avuto una sintomatologia tanto leggera da essere passata inosservata. E con i problemi enormi di tamponi disponibili ed i primi mesi che hanno visto un “tamponamento” assolutamente insufficiente della popolazione, abbiamo sottostimato quel numero.
Dunque, dare i numeri della mortalità in prima pagina per mesi ha avuto, scientificamente e socialmente, poco senso.
Effetto Dunning-Kruger
Abbiamo visto come comunicare in ambito sanitario richieda attenzione alle fonti ed al corretto approccio al metodo scientifico.
Tutto questo a poco serve se non vi è, da parte del lettore, la giusta predisposizione all’ascolto e all’apprendimento.
Il primo passo per apprendere, infatti, è l’umiltà di riconoscere i propri limiti e la volontà di superarli.
Un fenomeno divenuto molto evidente nella comunicazione “social”, nei mesi del COVID, è quello che prende il nome di effetto Dunning-Kruger.