Per la salute della prostata il PSA da solo non basta…

Lucio Dell’Atti 
SOD Clinica Urologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona. 

Il cancro della prostata è uno dei tumori più diffusi nella popolazione maschile: le stime, relative all’anno 2018, parlano di circa 35.000 nuovi casi l’anno in Italia. Stando ai dati più recenti, circa un uomo su 8 nel nostro Paese ha probabilità di ammalarsi di tumore della prostata nel corso della propria vita. L’incidenza annuale, cioè il numero di nuovi casi registrati in un anno, è cresciuta in concomitanza della maggiore diffusione del test PSA (antigene prostatico specifico, in inglese: prostate specific antigen). Il PSA è una proteina (callicreina 3) sintetizzata dalle cellule della prostata e la sua funzione è quella di mantenere fluido il liquido seminale espulso durante l’eiaculazione, per consentire agli spermatozoi di fecondare.

Uno dei principali fattori di rischio per il tumore della prostata è l’età: le possibilità di ammalarsi sono molto scarse prima dei 40 anni, ma aumentano sensibilmente dopo i 50 anni e circa due tumori su tre sono diagnosticati in persone con più di 65 anni. I ricercatori hanno dimostrato che circa il 70 per cento degli uomini oltre gli 80 anni è affetto da un tumore prostatico, anche se nella maggior parte dei casi la malattia non dà segni di sé e viene trovata solo in caso di studi autoptici dopo la morte. Quando si parla di tumore della prostata un altro fattore non trascurabile è senza dubbio la familiarità: il rischio di ammalarsi è pari al doppio per chi ha un parente consanguineo (padre, fratello) rispetto a chi non ha nessun caso in famiglia.

Il dosaggio del PSA viene effettuato tramite un semplice prelievo ematico, sulla cui utilità per la diagnosi precoce del tumore della prostata esistono però parecchi dubbi e perplessità. 

Poiché il rapporto tra effetti indesiderati e benefici non è ancora del tutto chiaro, non esiste finora un programma di screening raccomandato, come si fa con la mammografia per il tumore della mammella, o con il sangue occulto nelle feci per il tumore del colon. 

In adulti sani e senza disturbi attribuibili a un tumore prostatico, c’è un’altissima probabilità di ottenere risultati falsi positivi: valori alterati di PSA anche in assenza della malattia tumorale.

Con il dosaggio del PSA vi è anche un’alta la probabilità di una sovradiagnosi (“overtreatment”), ossia individuare casualmente tumori della prostata che il paziente non avrebbe mai scoperto di avere e che in un’alta percentuale dei casi crescono lentamente e non daranno mai segno di sé nel corso della propria vita. 

Un PSA elevato è quasi sempre seguito da accertamenti diagnostici invasivi e trattamenti che possono essere gravati, in una percentuale variabile di casi, da complicazioni rilevanti.
La biopsia ecoguidata della prostata è spesso accompagnata da complicanze quali emorragie, infezioni e febbre. Il rischio di complicanze gravi o di decessi durante un intervento per l’asportazione della prostata o nel decorso post-operatorio è invece minimo. Ad esso però è possibile che seguano incontinenza urinaria e soprattutto impotenza, transitorie o permanenti, in percentuali variabili dipendenti dall’estensione della malattia e dall’esperienza del chirurgo che esegue l’intervento di asportazione completa della prostata (“prostatectomia radicale”). 

Finora non ci sono prove che le più moderne tecniche chirurgiche come quelle robotiche siano in grado di ridurre il rischio di questi effetti indesiderati rispetto a quelle tradizionali. Disturbi di questo tipo possono seguire, in percentuali diverse, anche ad un trattamento radioterapico a scopo curativo, che provoca più spesso complicazioni rettali e anali, come dolore, urgenza alla defecazione, alla minzione con possibili perdite di sangue con le urine. 

Oggi non c’è modo di prevedere e quindi evitare queste conseguenze, che colpiscono anche pazienti nei quali la malattia non si sarebbe mai manifestata.

SORVEGLIANZA ATTIVA 

Nei casi che appaiono meno avanzati si sta diffondendo un approccio di “sorveglianza attiva”: il paziente si sottopone a controlli ravvicinati per cogliere precocemente una eventuale accelerazione nella crescita del tumore ed in tal caso intervenire. 

Pertanto, alla luce dei possibili benefici ed effetti collaterali, ognuno deve soppesare bene, con l’aiuto del proprio medico, se aggiungere o no il PSA agli esami di routine. 

Una volta ritirati i risultati degli esami è importante non allarmarsi se si trova un asterisco che segnala un valore alterato di PSA. 

Il dosaggio del PSA può risultare alterato per moltissime ragioni, per esempio patologie benigne della prostata, un’esplorazione rettale, una recente attività sessuale o l’uso di farmaci molto comuni e perfino della bicicletta (Tabella 1); i valori fluttuano inoltre in base al peso corporeo, all’etnia e perfino in relazione alle stagioni dell’anno. 


Un singolo riscontro di valori superiori alla media non deve quindi destare particolare preoccupazione, anche perché non esiste una soglia di sicura positività: normalmente si considera degna di attenzione una concentrazione di PSA superiore a 4 ng/mL, anche se valori inferiori non permettono di escludere completamente la malattia. La biopsia conferma la presenza di un tumore solo in un uomo su quattro con valori di PSA compresi tra 4 e 10 ng/mL. Se i livelli sono molto elevati il sospetto di un tumore si fa invece più fondato. Più che il valore assoluto però, sembra che abbia una rilevanza maggiore l’andamento nel tempo del PSA, per questo motivo si ricorre a calcoli più sofisticati come il PSA velocity, che valuta la velocità di accrescimento dell’antigene prostatico specifico, il PSA doubling time, che monitora il suo tempo di raddoppiamento, il PSA density, che rapporta il PSA circolante alle dimensioni della prostata, ed il rapporto tra PSA libero e PSA legato a proteine di trasporto, poiché il primo è meno influenzato dalla presenza di un tumore.

Sarà il medico a stabilire, in relazione al risultato dell’esame, all’età e alle condizioni del paziente, se ripetere l’esame a distanza di tempo, o eseguire subito una biopsia (Tabella 2). 

In conclusione, si può affermare che un aumento del PSA è più che altro un campanello di allarme, che non deve essere comunque sottovalutato, anche se potrebbe trattarsi di un segnale del tutto innocuo.


Letture consigliate 
1. Ferlay J, Colombet M, Soerjomataram I, et al. Cancer incidence and mortality patterns in Europe: estimates for 40 countries and 25 major cancers in 2018. Eur J Cancer 2018; 103:356-87. 
2. Ilic D, Djulbegovic M, Jung JH, et al. Prostate cancer screening with prostate-specific antigen (PSA) test: a systematic review and metanalysis. BMJ 2018; 362:k3519. 
3. Heidenreich A, Abrahamsson PA, ArtibaniW, et al. Early detection of prostate cancer: European Association of Urology recommendation. Eur Urol 2013; 64:347-54. 
4. Briganti A, Fossati N, Catto JWF, et al. Active surveillance for lowrisk prostate cancer: the European Association of Urology position in 2018. Eur Urol 2018; 74:357-68. 
5. Howard DH. Life expectancy and the value of early detection. J Health Econ 2005;24:891–906. 
6. Castro E, Mikropoulos C, Bancroft EK, et al. The PROFILE feasibility study: targeted screening of men with a family history of prostate cancer. Oncologist 2016; 21:716-22.

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