Tumore al seno: il vissuto e i bisogni delle donne con la malattia HER2+
Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, in collaborazione con l’Istituto ELMA Research, ha realizzato un’indagine finalizzata a investigare il percorso di cura e la qualità di vita delle pazienti con diagnosi di tumore al seno, per capirne il vissuto, le reali necessità e per sviluppare, in futuro, progetti che possano dare risposte concrete.
La ricerca, di carattere qualitativo e quantitativo, ha coinvolto complessivamente 132 donne con una diagnosi di tumore al seno HER2+, con diverse storie di malattia, per la maggior parte in trattamento attivo (79%), con un’età media di 53 anni, per lo più con partner stabile e con figli.
Il rapporto con la malattia assume connotazioni differenti a seconda dei tratti caratteriali, del livello socio-culturale e della presenza di una rete familiare, da cui derivano diversi livelli di consapevolezza, atteggiamenti più o meno proattivi e motivazione nell’affrontare il proprio percorso.
Nonostante le differenze, emergono vissuti simili, a seconda delle fasi della patologia.
Per queste donne la scoperta della malattia determina una rottura con la vita precedente e nel caso di esordio metastatico il senso di precarietà prosegue senza risolversi mai. La malattia è come un limite onnipresente che comporta un radicale cambiamento di prospettiva. Gli aspetti più difficili da affrontare sono legati al futuro: il timore di ciò che può accadere o la possibilità di un peggioramento, ma, più in generale, anche l’impossibilità di programmare impegni a lungo termine: si vive solo costantemente nel presente con una scarsa percezione del ‘domani’.
L’inizio delle storie coincide frequentemente con l’individuazione di un nodulo tramite autopalpazione che attiva una serie di accertamenti successivi. Più raramente, attraverso controlli periodici mirati lasciando emergere una scarsa sensibilità al tema della prevenzione, specialmente durante il periodo della pandemia dove i controlli sono risultati ancora più sporadici.
L’avvio del percorso clinico è in molti casi travagliato, caratterizzato da momenti di ‘vuoto’ senza una reale visione d’insieme di quello che sarà l’iter da affrontare; per questa ragione spesso si fatica a ricostruire la sequenza e la tipologia degli esami/controlli effettuati, restituendo la fotografia di un periodo estremamente confuso e caotico.
Tra gli snodi considerati più critici, viene citata la fine delle terapie che può essere vissuta negativamente per la percezione di uscire dal proprio percorso di cura e di essere di nuovo in balia dell’incertezza. Anche l’intervento chirurgico rappresenta un passaggio complicato che alimenta ansia e paura del cambiamento fisico, al punto che alcune donne lo hanno rifiutato categoricamente per timore di non riuscire più ad accettarsi: una fase, quindi, estremamente delicata in cui solo una minoranza di pazienti sembra aver ricevuto e accettato un supporto psicologico per metabolizzare la situazione.
Anche le attese che caratterizzano i periodi di follow up, sono vissute con grande apprensione per la possibilità di comparsa di recidive e riattivazione della malattia che potrebbero segnare un ‘passo indietro’ rispetto al traguardo della guarigione.
A prescindere dalle fasi della malattia, la sua influenza negativa intacca in maniera importante la percezione di sé, del proprio aspetto esteriore (peggiorato per il 75% delle intervistate) e la sfera sessuale (peggiorata per l’81%). Altri aspetti della vita che subiscono un forte impatto dalla malattia e dalla terapia sono: la socialità (le interazioni diventano meno frequenti perché ci si sente stanche e fragili), la relazione di coppia (con ripercussioni sull’intimità perfino nelle relazioni più solide) e la maternità (nel 60% dei casi la malattia ha influito negativamente sul progetto di gravidanza delle donne che la stavano programmando).
Notevole impatto si percepisce anche sulla sfera lavorativa: in molti casi, infatti, c’è la necessità di ridimensionare le attività lavorative, interromperle (il 23% delle donne, soprattutto se in fase metastatica, ha dovuto rinunciare al lavoro a causa della malattia) o cambiare mansione.
Al riguardo, ad influire sui costi associati alla malattia è anche la frequenza degli accessi ospedalieri, almeno mensile, che coinvolge non solo le pazienti, ma anche i caregiver (che accompagnano il 67% delle donne intervistate in ospedale).
La situazione si aggrava se prendiamo come riferimento le donne con malattia metastatica, che risentono maggiormente dell’idea di essere malate, con una paura maggiore per il futuro, scoprendo un peggioramento della malattia. Questa condizione influisce negativamente sulla vita lavorativa e privata, con un maggiore impatto sulla propria immagine ed un peggioramento maggiore della sfera intima e della sessualità.
Francesca Merzagora, Presidente di Fondazione Onda, commenta i dati raccolti dall’indagine, secondo la quale emerge come dal momento della diagnosi ci sia uno stravolgimento totale nella vita delle pazienti a livello fisico e psicologico, perché la donna viene colpita sia nella sua femminilità sia nelle prospettive di futuro, modificandosi la vita di coppia, quella familiare e quella lavorativa. Prevale un senso di spaesamento e confusione che accomuna queste donne e per tutto questo è necessario inquadrare chiaramente la patologia e il suo percorso di cura, con un’attenzione primaria verso l’informazione e la prevenzione, considerato che nella maggior parte delle pazienti intervistate emerge una scarsa sensibilità alla prevenzione. Esiste un gap comunicativo, se si considera che una intervistata su tre ritiene che per colmare il senso di confusione e vuoto sia necessaria una figura di riferimento in grado di dare una visione di insieme degli step da seguire, di spiegare le diverse opzioni terapeutiche possibili, per avere un ruolo attivo nella scelta consapevole del percorso di cura. L’efficace comunicazione e collaborazione tra medici di medicina generale e specialisti senologi migliorerebbe notevolmente il vissuto, facilitando la pianificazione di visite, controlli e follow up, con l’obiettivo di ottimizzare l’organizzazione e diminuire i tempi di attesa. Dall’indagine è infatti emerso come il medico di medicina generale, attualmente non considerato come una figura di riferimento, debba avere un ruolo maggiore nel monitoraggio dei sintomi e dello stato di salute della donna tra un controllo e l’altro. Aspetti fondamentali anche per alleggerire quanto possibile gli accessi in ospedale.
“È cruciale saper ascoltare e comunicare bene sia riguardo alla malattia che alla strategia terapeutica. Ci si cura per vivere e non si deve vivere per curarsi”. Lo afferma Filippo de Braud, Professore Ordinario Università degli Studi di Milano e Direttore del Dipartimento e della Divisione di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
Chiara Marzorati, Psicologa Psicoterapeuta (Divisione di Psiconcologia, Istituto Europeo di Oncologia di Milano) sottolinea il fatto che la malattia coinvolge l’intero sistema familiare e sociale della persona ed è fondamentale prevedere programmi di supporto a tutto ‘l’ecosistema famiglia’, per favorire l’adattamento ad una realtà in continua trasformazione.
Europa Donna Italia, con la sua Presidente Rosanna D’Antona, è a fianco delle donne con carcinoma mammario fin dalla fase diagnostica, per intercettare precocemente familiarità e tipo di tumore ed intervenire anche con attività di advocacy.
Letture consigliate:
– Soomin Ahn, Ji Won Woo, Kyoungyul Lee, et al. HER2 status in breast cancer: changes in guidelines and complicating factors for interpretation, 2019.
– Rielaborazione da AIRTUM e AIOM, “I numeri del cancro in Italia 2021”, 2021.