Con un poco di miele, la ferita non c’è più!

Elia Ranzato e Simona Martinotti
Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica (DiSIT), Università del Piemonte Orientale (sedi di Alessandria e Vercelli) UPO Alumni.

La storia del rapporto tra uomo ed api è molto lunga e interessante. Fin dall’antichità, il miele è stato usato non solo come alimento e dolcificante naturale, ma anche e soprattutto come rimedio per la protezione della salute.

Il miele era infatti noto per la cura di diverse lesioni, come ferite, ulcere ed ustioni.

L’uso del miele come medicamento si interrompe però in un momento preciso, ovvero con l’avvento degli antibiotici all’inizio del secolo scorso. L’utilizzo degli antibiotici originò infatti la presunzione di aver piegato le malattie infettive.

Diversi sono i meccanismi che contribuiscono a far sì che il miele abbia un’azione di controllo della crescita microbica, che si esercita, in particolare, come segue:

  • L’elevato contenuto di zuccheri combinato con una minoritaria presenza di acqua provoca uno stress osmotico che impedisce la crescita di microrganismi;
  • Il pH acido non favorisce la crescita microbica;
  • La presenza di molecole ad azione anti-batterica (ad esempio un peptide come la defensina)
  • La produzione di acqua ossigenata (H2O2).

Oggi, la crescente attenzione verso i prodotti naturali per la cura delle ferite ed in special modo per i prodotti dell’alveare, scaturisce da un’emergenza pratica.

Il rapido aumento della resistenza agli antibiotici pone gravi problemi ed importanti riflessioni.

Inoltre, nonostante numerose osservazioni aneddotiche relative all’efficacia del miele nella riparazione delle ferite, non ci sono molti studi, sperimentali o clinici, che abbiano valutato la reale portata dell’azione del miele e degli altri prodotti dell’alveare (come propoli, pappa reale, ecc).

Il nostro gruppo di ricerca da diversi anni si interessa ai meccanismi cellulari e molecolari che vengono attivati nelle cellule in seguito ai fenomeni di riparazione delle ferite.

Nel 2010, grazie ad un finanziamento giapponese, abbiamo iniziato ad interessarci ai possibili effetti benefici del miele, non solo in termini di azione antibatterica.

Volevamo infatti capire se il miele, o meglio tipi diversi di miele, fossero in grado di modulare l’azione di cheratinociti e fibroblasti, i principali tipi cellulari della pelle.

Per raggiungere questo scopo, abbiamo fatto ricorso ad un modello in vitro di riparazione delle ferite, ovvero lo scratch wound assay, mimando una ferita su una coltura cellulare e studiando se il miele fosse in grado di aumentarne la velocità di chiusura. I passaggi fondamentali di tale sistema implicano la creazione di un taglio, di una discontinuità, in un monostrato di cellule, catturando le immagini all’inizio ed a intervalli regolari durante la migrazione delle cellule per “chiudere la ferita”, confrontando così le immagini per quantificare la velocità di migrazione, in presenza o meno di miele.

In questo modo abbiamo verificato che non solo il miele è sicuro sulle cellule della pelle, ma soprattutto è in grado di indurre un notevole vantaggio nella riparazione del tessuto lesionato.

Ovviamente la domanda più importante era capire quale componente o quali componenti del miele fossero in grado di produrre questa azione. Esistono almeno 200 composti descritti nel miele e consistono principalmente in acqua, zuccheri e altre sostanze come acidi organici, proteine (enzimi), vitamine e minerali.

L’acqua ossigenata (H2O2) generata all’interno del miele, ad opera dell’azione dell’enzima glucosio ossidasi prodotto dall’ape, può svolgere un ruolo importante non solo come composto anti-batterico, ma anche e soprattutto nel modulare la riparazione delle ferite, inducendo l’azione positiva che abbiamo osservato.

I nostri esperimenti hanno verificato che l’acqua ossigenata, liberata nello spazio esterno alle cellule, riesce ad attraversare la membrana plasmatica dei cheratinociti, grazie alla presenza di una proteina che funge da trasportatore, ovvero l’acquaporina-3 (AQP-3).

Le acquaporine sono una famiglia di proteine scoperte dal biologo statunitense Peter Agre, premiato con il Nobel per la Medicina, che facilitano il flusso molto veloce delle molecole d’acqua all’interno o all’esterno delle cellule. Ma alcune acquaporine possono facilitare anche la diffusione passiva di H2O2 attraverso le membrane biologiche.

Una volta nel citoplasma, cioè all’interno delle cellule, l’H2O2 induce l’ingresso di ioni calcio (Ca2+) dallo spazio extracellulare attraverso dei canali specifici, ovvero dei pori che permettono al Ca2+ di passare. Lo ione calcio poi, aumentando la sua presenza nel citoplasma, innesca una serie di risposte cellulari, che portano alle variazioni del comportamento della cellula della pelle e, in ultimo, a facilitare la chiusura delle ferite.

I nostri studi dimostrano così come l’esposizione al miele influisca sulla regolazione dello ione calcio, mediata dalla produzione di H2O2 e dalla regolazione dei canali per il calcio.

Le nostre osservazioni pongono altresì le basi per l’uso scientifico e razionale del miele come agente di riparazione delle ferite, con la comprensione dei meccanismi cellulari e molecolari alla base degli effetti sulle cellule della pelle. Inoltre, le nostre ricerche permettono di aprire un nuovo orizzonte per l’uso del miele come strumento utile nella gestione dei disturbi della pelle attraverso anche la modulazione dell’espressione delle acquaporine.

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