Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) e COVID-19 Dal ritorno alla normalità ai rischi di una seconda ondata

Dopo i duri mesi del lockdown, durante i quali i Centri per le malattie infiammatorie croniche intestinali (malattia di Crohn e colite ulcerosa) sono stati chiusi o disponibili solo per le urgenze, con i medici impegnati a fronteggiare l’urgenza pandemica ed i pazienti con la paura di recarsi in ospedale, finalmente si ritorna alla normalità.
E’ una normalità che Fernando Rizzello (Policlinico S. Orsola Malpighi, Bologna) definisce distorta, algida, difficile, per le misure di protezione all’accesso delle strutture sanitarie, che non devono fermare i pazienti, ai quali va detto chiaramente di  continuare la terapia in corso, ricontattare i propri centri di riferimento per riprendere il monitoraggio della malattia e ristabilire i controlli periodici, indispensabili in questa fase di ripresa.

In caso di recidiva della malattia, non c’è controindicazione all’utilizzo dei farmaci biotecnologici o degli immunosoppressori. Nulla di diverso rispetto al passato, ma gli specialisti delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) cambiano la modalità di gestione del paziente, ricorrendo ad un maggior uso di “visite elettroniche” rispetto a quelle tradizionali ambulatoriali. Con la telemedicina sarà possibile individuare agevolmente i pazienti che hanno la necessità di essere visitati, rispetto a chi può essere seguito in maniera telematica, con il vantaggio di  gestire meglio le risorse ed evitare rischiosi assembramenti.

Se questa ritrovata “normalità” si dovesse interrompere a causa di una seconda ondata pandemica nella prossima stagione invernale, la prevenzione è ritenuta lo strumento più efficace per proteggere i pazienti, attraverso alcune misure: 1) l’estensione del vaccino influenzale, per difendere la popolazione anche da co-infezioni con l’aggravio di ulteriori costi (la “cultura della vaccinazione” la auspica obbligatoria per tutti ed anticipata a fine Settembre); 2) opportune campagne di comunicazione, per sensibilizzare sull’importanza delle precauzioni da adottare durante l’autunno; 3) l’invito agli anziani ed ai pazienti più fragili ad osservare un lockdown preventivo; 4) la riduzione delle dosi di cortisone, se il medico ne dà consiglio, qualora se ne faccia uso.

Queste le contromisure, anche se nei pazienti con MICI l’incidenza cumulativa di infezione da SARS-CoV-2 è di circa 0.25% (percentuale lievemente inferiore a quella “teorica” registrata a livello nazionale). Il tasso di mortalità dei pazienti con MICI ed infezione da COVID-19 sembra anch’esso lievemente inferiore (3%) rispetto a quello della popolazione generale, seppure con variazioni geografiche non trascurabili.

Diversi studi nazionali e internazionali dimostrano inoltre che i fattori di rischio per un’evoluzione peggiore della COVID-19 nei pazienti affetti da MICI sono l’età avanzata, la presenza di co-morbidità, la malattia intestinale attiva e l’utilizzo di corticosteroidi. Per se, la malattia intestinale infiammatoria e la terapia immunosoppressiva non sono fattori di rischio di maggiore frequenza di infezione, o di sua maggiore gravità. Al contrario, la recidiva di malattia, magari dovuta anche alla sospensione della terapia in atto, può costituire un fattore aggravante.

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